Flessibilità previdenziale e TFR come rendita integrativa

Coppia italiana pianificazione pensione

Il TFR come risorsa per integrare la pensione

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è tradizionalmente percepito come liquidazione al termine del rapporto di lavoro. Negli ultimi mesi si discute invece della possibilità di trasformarlo in rendita integrativa, utile a rafforzare l’assegno pensionistico e a rendere più sicura la fase della pensione.

L’idea riguarda soprattutto le imprese con oltre 50 dipendenti, i cui accantonamenti al TFR sono già depositati presso l’Inps. Utilizzare questi fondi per sostenere la pensione permetterebbe ai lavoratori di accedere più facilmente a forme di flessibilità in uscita.

La misura avrebbe inoltre un impatto positivo sul sistema, in quanto fornirebbe un sostegno individuale senza pesare eccessivamente sui conti pubblici. Alcuni esperti sottolineano come questa soluzione possa anche stimolare una maggiore adesione alla previdenza complementare.

La fine di Quota 103 e la ricerca di alternative

Quota 103, che consente l’uscita anticipata con 62 anni di età e 41 di contributi, scadrà entro il 2025. Considerata una misura transitoria, sarà sostituita da nuove modalità di flessibilità più sostenibili.

In parallelo, strumenti già noti come Opzione Donna e Ape Sociale subiranno riduzioni o modifiche, segnando la fine di una fase sperimentale e l’inizio di soluzioni strutturali.

Pensionamento a 64 anni e soglie economiche

Tra le proposte più discusse emerge la possibilità di accedere alla pensione a 64 anni, purché si abbiano almeno 25 anni di contributi. L’assegno maturato dovrebbe però raggiungere una soglia minima, pari a tre volte il trattamento sociale.

In questo scenario il TFR assume un ruolo centrale: se trasformato in rendita, potrebbe consentire di superare le soglie richieste, sostenendo così i redditi dei futuri pensionati.

Chi decide di destinare il TFR ai fondi pensione può inoltre contare su vantaggi fiscali importanti: la tassazione varia dal 9% al 15%, contro il 23%–43% del TFR lasciato in azienda.

Il meccanismo del silenzio assenso nei fondi pensione

Dal 2005 esiste la regola del silenzio assenso, che trasferisce automaticamente il TFR nei fondi pensione se il lavoratore non comunica una scelta diversa entro sei mesi. Nonostante questo, solo un terzo degli italiani aderisce effettivamente a un fondo.

Molti preferiscono mantenere il TFR in azienda, dove la rivalutazione è stabile ma più contenuta rispetto ai potenziali rendimenti dei fondi pensione, che negli ultimi anni hanno registrato performance superiori.

L’adeguamento dell’età pensionabile dal 2027

Se non ci saranno interventi legislativi, dal 2027 scatterà un aumento automatico di tre mesi dell’età pensionabile. La manovra di bilancio in preparazione punta a bloccare questo meccanismo per dare maggiore certezza ai lavoratori.

L’obiettivo è garantire stabilità e fiducia nel sistema, evitando modifiche improvvise che rischierebbero di complicare la programmazione personale e familiare di chi si avvicina alla pensione.

Alcuni sindacati e associazioni di categoria hanno già espresso apprezzamento per questa ipotesi, ritenendola un segnale di attenzione verso chi si trova nella fase conclusiva della carriera lavorativa e necessita di regole chiare.

Sostenibilità del sistema e partecipazione al lavoro

Secondo i dati Eurostat, nei Paesi in cui gli over 60 restano più a lungo nel mercato del lavoro aumenta anche l’occupazione giovanile. Questo smentisce l’idea di un conflitto generazionale tra lavoratori giovani e anziani.

Per mantenere la solidità del sistema nel lungo periodo è essenziale incentivare l’ingresso dei giovani, rafforzare l’occupazione femminile e favorire la permanenza attiva di chi ha ancora energie e competenze da offrire.

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